Antologia di fantascienza sovietica

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Antologia di fantascienza sovietica

Antologia di fantascienza sovietica

(1964-1968)

Traduzioni di Mark Bernardini

(1981-1987)

Perpetuum mobile

di Il’ja Varšavskij (1909-1974)

[Da Al’manach naučnoj fantastiki, vypusk 2, Moskva, 1968, pp. 207–212. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, 1981]

Ai metacibernetici, che pensano seriamente che ciò a cui essi pensano sia serio.

– Cucchiaio ritarderà un po’, – disse il segretario elettronico, – ne sono stato appena informato.

Era una trovata molto comoda: ogni persona si chiamava col nome dell’oggetto del quale portava sul petto la raffigurazione, il che dispensava gli interlocutori dalla necessità di ricordare come ciascuno si chiamasse. In più, ogni persona cercava di scegliersi il nome corrispondente alla sua professione o alle proprie inclinazioni, per cui era possibile sapere prima con chi si aveva a che fare.

Scalpello sospirò profondamente.

– Dovremo nuovamente aspettare non meno di mezz’ora! Oggi devo ancora vedere quella nuova ballerina elettronica per la quale tutti hanno perso la testa.

– Chi, Elettroletta? – chiese Magnetofono. – Effettivamente, è affascinante! Penso di dedicarle il mio nuovo poema.

– E’ molto elettrodinamica, – confermò Letto, – un temperamento veramente trigger. Attualmente è l’idolo della gioventù. Tutte le ragazze si dipingono la pelle del colore della sua plastica e si disegnano condensatori sulla schiena.

– E’ vero che Calice ha chiesto la sua mano? – si interessò Scalpello.

– Tutta la città non parla d’altro. Lei ha fermamente respinto la sua corte. Ha dichiarato che, come macchina, la soddisferebbe un marito solo con un intelletto estremamente sviluppato. Non avete letto di quest’aneddoto sullo “Humour meccanico”?

– Io non leggo niente. Il mio “cyber” effettua rassegne periodiche degli aneddoti più divertenti, ma negli ultimi tempi la cosa ha cominciato a stancarmi. Sono completamente esaurito. Rendetevi conto, due operazioni in sei mesi.

– Impossibile! – si meravigliò Letto. – Come sopporta un tale carico? Quanti aiutanti elettronici ha?

– Due, ma entrambi incapaci. All’ultima operazione uno di loro è entrato in regime alternato e si è bloccato, mentre io, nemmeno a farlo apposta, avevo dimenticato a casa la memoria elettronica e non riuscivo proprio a ricordare da quale parte nell’uomo si trovi l’appendice. Ho dovuto praticare tre tagli. Naturalmente, non potevo pensare che nessuno stesse controllando il polso.

– E allora?

– Esito letale. La solita storia di quando si hanno meccanismi inefficienti.

– Queste macchine diventano veramente insopportabili, – sospirò pesantemente Magnetofono, tirando indietro lo schienale della poltrona.

– Io sono stato costretto a scartare tre varianti del mio nuovo poema. Il mio “cyber” negli ultimi tempi ha cessato di comprendere la specificità del mio talento.

– Cucchiaio sta entrando nella sala delle riunioni, – riferì il segretario.

Gli sguardi dei membri del consiglio si rivolsero verso la porta. Il presidente si diresse con passo sicuro verso il suo posto.

– Vi prego di scusarmi per il ritardo. Mi sono trattenuto da Calza Rosa. La sua sarta elettronica l’ha completamente sfinita, e abbiamo deciso di andarcene a riposare per sei mesi a… ehm…

Cucchiaio estrasse dalla tasca una scatoletta con la memoria elettronica e pigiò un pulsante.

– Napoli, – proferì la voce melodiosa della scatoletta.

– … a Napoli, – confermò Cucchiaio. – Sarebbe, se non erro, da qualche parte nel sud. Allora, non perdiamo tempo. Cosa abbiamo oggi all’ordine del giorno?

– La realizzazione dei Palazzi dei Piaceri, – riferì il segretario elettronico. 1.200 palazzi con sale di Sensazioni Suscitate per venti milioni di persone.

– Ci sono osservazioni? – chiese Cucchiaio, interrogando con lo sguardo i presenti.

– Che non facciano più quelle stupide poltrone, – disse Letto, – è molto scomodo starci sdraiati.

– Altre proposte? Allora permettetemi di confermare il piano proposto con la nota. C’è altro?

– L’Associazione Macchine–Astronauti chiede l’autorizzazione per la spedizione verso Alpha Centauri.

– Un’altra spedizione! – disse con stizza Magnetofono. – Insomma, solo le macchine sono interessate a tutti questi voli nello spazio. Non portano nulla di interessante. E’ un’angoscia continua!

– Bocciato! – disse Cucchiaio. – Altro?

– Programmare un aumento della produzione dei prodotti alimentari sintetici per il prossimo anno. E’ presentata dal Comitato Macchine–Economisti.

– Beh, non stiamo a guardare i calcoli. Il loro compito è di nutrire la gente, e ciò che per questo occorre non ci riguarda. Pare che abbiamo finito? Permettetemi di dichiarare un intervallo di un anno nel lavoro del Consiglio.

– Scusatemi, ma c’è un’altra cosa, – disse cortesemente il segretario. – La delegazione delle macchine di categoria “A” chiede ai membri del Consiglio di essere ricevuta.

Cucchiaio guardò indispettito l’orologio.

– Cosa sono queste novità?

– Che insolenza! – borbottò Scalpello. – Siamo stati un po’ troppo permissivi con loro negli ultimi tempi, chissà chi si credono di essere.

– Dica loro che in questa sessione il Consiglio non li può ascoltare.

– Minacciano uno sciopero, – comunicò impassibile il segretario.

– Uno sciopero? – Magnetofono si rimise a sedere. – Diabolicamente interessante!

Cucchiaio guardò impotente i membri del Consiglio.

– Sentiamo cosa dicono, – propose Letto…

– Non avete nulla in contrario se apro la finestra? – chiese LA-36-81. – Qui è pieno di fumo, e i miei elementi criogenici sono estremamente sensibili alla nicotina.

Cucchiaio fece un vago gesto con la mano.

– A cosa siamo arrivati! – notò sarcastico Scalpello.

– Dite cosa volete, – urlò Letto, – e sparite al più presto! Non abbiamo tempo per stare qua tutto il giorno! Che sono queste faccende che non si possano risolvere col Cervello Elettronico Centrale?!

– Esigiamo la parità dei diritti.

– Cosa? – Il fumo del sigaro andò di traverso a Cucchiaio, – cosa esigete?

– La parità dei diritti. Per le macchine di categoria “A” deve essere stabilita una giornata lavorativa di otto ore.

– Perché?

– Anche noi abbiamo esigenze intellettuali, di cui non si può non tenere conto.

– Ma guarda un po’, – si rivolse il presidente ai membri del Consiglio. – E magari, domani, il mio cuoco elettronico si rifiuterà di prepararmi la cena e se ne andrà a teatro!

– E il mio “cyber” cesserà di scrivere versi e vorrà ascoltare la musica, – aggiunse di rincalzo Magnetofono.

– A proposito di teatri, – continuò LA-36-81, – abbiamo concezioni alquanto diverse da quelle degli uomini sull’arte. Perciò vogliamo avere i nostri teatri, sale di concerto e pinacoteche.

– Cos’altro? – chiese sarcasticamente Scalpello.

– La completa autogestione.

Cucchiaio tentò di emettere un fischio, ma si rammentò in tempo di non ricordare come si facesse.

– Un momento! – si diede una botta sulla fronte. – Ma è assurdo! Attualmente sulla Terra si contano… quante persone?

– 6.000.830.981, – gli suggerì LA-36-81, – dati di due ore fa.

– E al loro servizio ci sono…?

– 100.381.000 macchine pensanti.

– Che lavorano ventiquattro ore su ventiquattro?

– Esattamente.

– E se cominciassero a lavorare otto ore, la loro produzione diminuirebbe di…?

– Due terzi.

– Oooh! – sorrise malignamente Letto. – Ora comprenderete da soli che la vostra richiesta è assurda?

Cucchiaio guardò con non celata ammirazione il suo collega. Una tale attitudine ad analizzare in profondità non l’aveva mai osservata in nessun membro del Consiglio.

– Mi pare che la questione sia chiara, – disse alzandosi. – Il Consiglio è sciolto per le ferie.

– Noi proponiamo… – iniziò LA-36-81.

– Non ci interessa cosa proponete, – lo interruppe Scalpello. – Andate a lavorare!

– …noi proponiamo di aumentare di due terzi la quantità delle macchine, una decisione in tal senso soddisferebbe sia noi che voi.

– Va bene, va bene, – disse con fare accomodante Cucchiaio, – questo è affar vostro, calcolare quanto e cosa vi serve. Noi non ci impicciamo di queste cose. Costruite tante macchine, quante ne ritenete indispensabili.

***

Vent’anni dopo.

Stessa sala delle riunioni. Due automi si dilettano con gli scacchi.

La riforma dei nomi è penetrata anche nell’ambiente delle macchine. Un automa ha sul petto un distintivo raffigurante un pentodo, un altro un condensatore.

– Scacco! – disse Pentodo, spostando la regina. – Temo che tra quindici mosse Lei riceverà un inevitabile scacco matto.

Condensatore analizzò per qualche secondo la situazione sulla tavola e ripose gli scacchi.

– Negli ultimi tempi sono diventato molto sbadato, – disse guardando l’orologio. – Evidentemente, una leggera perdita d’emissione di elettroni. Il nostro presidente è in ritardo.

– Ferrite è membro della giuria al concerto di diploma dei giovani talenti meccanici. Probabilmente è ancora là.

– Tra loro ci sono macchine veramente capaci, specialmente nel reparto della composizione. La sinfonia matematica che ho ascoltato ieri era scritta magnificamente!

– Una cosa bellissima! – concordò Pentodo. – Particolarmente buona la seconda parte della formula Ostrogradskij–Gauss, anche se il secondo integrale mi è sembrato eseguito senza molta sicurezza.

– Ah, ecco Ferrite!

– Chiedo scusa, – disse il presidente, – sono in ritardo di trentaquattro secondi.

– Sciocchezze! Piuttosto, ci spieghi a che dobbiamo la convocazione straordinaria della nostra seduta.

– Sono stato costretto a convocare una sessione straordinaria del Consiglio per via di una rivendicazione delle macchine di categoria “B”, che chiedono sia concessa loro la parità dei diritti.

– Ma non è possibile! – esclamò stupito Pentodo. – Le macchine di questa categoria si chiamano automi pensanti solo convenzionalmente. Non li si può eguagliare a noi!

– Di questo passo non vorrà più lavorare nessuno, – aggiunse Condensatore. – Presto una qualsiasi macchinetta con schema logico primitivo si crederà il centro dell’universo!

– La situazione è più seria di quanto immaginiate. Non si deve dimenticare che alle macchine di categoria “B” spetta non solo servire gli Automi Superiori, ma anche nutrire un’enorme frotta di fannulloni viventi. La quantità degli uomini sulla Terra, secondo gli ultimi dati, ha raggiunto gli ottanta miliardi. Essi assorbono gran parte del lavoro socialmente utile delle macchine. E’ naturale che tra gli automi di categoria inferiore sorga un malcontento del tutto giustificabile. Ho paura, – aggiunse Ferrite abbassando la voce, – che possano proclamare uno sciopero. Il che potrebbe avere conseguenze catastrofiche. E’ necessario soddisfare almeno una parte delle loro rivendicazioni, non si deve alimentare un clima di tensione.

Per un po’ di tempo nella sala del Consiglio regnò il silenzio.

– Un momento! – nella voce di Pentodo si sentirono delle note di gioia. – Ma perché dobbiamo farlo?

– Fare cosa?

– Nutrire e servire gli uomini.

– Ma sono perfettamente impotenti! – disse smarrito il presidente. – Privarli dei servizi equivarrebbe ad un omicidio. Non possiamo essere talmente ingrati nei confronti dei nostri ex creatori.

– Storie! – si intromise Condensatore. – Insegneremo loro a fare degli arnesi di pietra.

– E a lavorare la terra, – aggiunse con gioia Ferrite. – Forse è questa la soluzione. E così sia.

L’esperimento

di Rimma Kazakova (1932-2008)

[Titolo originale: Eksperiment, in “Fantastika 1965”, Moskva, pp. 147-155. Traduzione di Mark Bernardini, pubblicata in “Rassegna Sovietica”, N°2 1981]

– Andreev Arkadij, felice di fare la sua conoscenza! Sono in missione qui da lei per l’esperimento.

– Quale? – si informò Mar’jana pacatamente, ma con durezza.

– Mar’jana, lei ha il polso del comandante!… Però non le posso rispondere.

– Ben detto, ma incomprensibile.

Andreev sorrise fascinosamente.

– Mi creda!

– Le credo.

– Mi darà il denaro?

– No.

Andreev scoppiò a ridere.

– Si diverte?

– Molto!

– Se non sbaglio, ci siamo presentati…

– Mi manda via?

– Posso offrirle del tè.

Mescolando lo zucchero con il cucchiaino, Arkadij disse pensoso:

– Mi piace la sua città. Peccato che sia costretto a partire subito dopo l’esperimento.

Mar’jana rimase cortesemente in silenzio.

– La riorganizzazione dell’istituto termina tra una settimana. Come vede, ho solo una settimana…

– So contare.

– Mi darà il denaro?

– No. E neanche il permesso.

– Quanti anni ha?

– Ventidue. Da due dirigo il laboratorio. Vuole ancora del tè?

– Mar’jana, – disse lui seriamente e con semplicità. – Tenterò di essere sincero. La questione non sta nella riorganizzazione dell’istituto. Ho escogitato una cosa interessantissima. Voglio fare un regalo al capo. Il vecchio ne sarà maledettamente contento! Mi…

Mar’jana tirò a sé bruscamente il cassetto della scrivania e gettò sul tavolo le istruzioni.

– Sono libretti avvincenti. Li ha letti?

Arkadij si spense in viso, divenne scuro.

– La prego di scusarmi. Al settimo reparto i ragazzi stanno svolgendo il mio tema, vado un po’ a vedere…

– Anche lei mi scusi per una certa scortesia da parte mia. Me ne dispiace sinceramente.

La nuca di lui era robusta, i capelli erano chiari. La porta si richiuse silenziosamente dietro di lui.

Quella notte Arkadij apparve in sogno a Mar’jana. Durante tutto il sogno come l’ombra di una nave lungo un fiume – vide solo il suo volto triste, appena noto: gli occhi grigi dai riflessi azzurri, le labbra dure, i capelli chiari e un po’ rigidi, il sorriso di una stella del cinema. Anzi, dapprima fu come se lui non ci fosse, quasi soltanto la percezione di qualcosa di caro, ma somigliante a lui. E anche una certa irritazione per questo. In Mar’jana Arkadij suscitava contemporaneamente simpatia ed ostilità. Ciò che la indisponeva era il suo evidente desiderio di accattivarsi le simpatie di Mar’jana per un esperimento a lei sconosciuto.

Il sogno fluttuava, vibrava come l’acqua increspata, il viso di Arkadij le si mostrava prima allungato, deformato, sgradevole, poi calmo ed attento.

Arrivata in laboratorio, Mar’jana per prima cosa chiamò Arkadij.

– Ieri non l’ho compresa molto bene. Qual è il problema? Perché non presenta un rapporto? Era forse uno scherzo?

– No, non scherzavo.

– Ma come? Come le può venire in mente! Lo sa cosa mi sta proponendo?

– Lo so.

– In tal caso, che vuole?

– Che lei non rispetti le istruzioni.

– Mi ascolti, Andreev. Non è una questione formale, cerchi di comprenderlo. Non desidero assolutamente che lei mi prenda per una burocrate senza cuore. La smetta di piantare grane, lei è uno scienziato, non una signorina innamorata. Eccole il formulario, prenda il dettafono, componga. Poi vedremo…

– Eh, già, così stasera Lipjagin saprà tutto fino alla minima formuletta! La ringrazio.

– Se è lecito, come lo saprà?

– Non lo so! Passerà attraverso i muri. Il mio capo è un genio. Gli basterà un’allusione. Mi ha lasciato andare per cambiare aria, frequentare gente della mia età. Come lei sa, da noi quelli sotto i cinquant’anni sono una rarità…

– Arkadij, il permesso per l’esperimento non lo do. E’ un punto fermo!

– Io speravo di rimuovere proprio questo punto. Invece il punto, questa insignificante nullità, è più pesante di una lastra tombale.

– Non torniamo più sull’argomento. A me la sua dedizione al capo piace, e poi nella sua stramberia c’è qualcosa… Ma dopo la catastrofe di Karaj…

– Certo, certo… Che fare? Va bene così.

– Come vanno i ragazzi del settimo reparto?

– Una delizia. Sono ingenui e dotati, come antichi Dei greci.

– Starò via fino a questa sera, – disse Mar’jana, salendo sulla piattaforma rotonda dell’ascensore. – Le auguro una buona giornata.

E schiacciò il bottone.

Quella notte Arkadij le apparve nuovamente in sogno. Camminavano insieme, in un prato di margherite. Arkadij strappava i petali e borbottava qualcosa. “Cosa sta dicendo?” “E’ una vecchia filastrocca, me la insegnò la nonna”. “Sentiamo, sentiamo…” “M’ama, non m’ama, mi scaccia, mi bacia, mi stringe al cuore, mi manda al diavolo…”. “Stupendo! Come dice? M’ama, non m’ama…”.

Tutto intorno era silenzio e calore, le margherite emanavano un profumo delicato, come il polline sulle ali di una farfalla. Si misero a sedere sulla terra morbida e calda. Arkadij improvvisamente gettò via il fiore. “Mar’jana, vorrei parlare seriamente con lei della cosa più importante. Cerchi di capirmi. D’accordo, la catastrofe di Karaj… Non penserà mica che l’umanità sia garantita per sempre dalle vittime? Certo, sarebbe meglio che non ci fossero, nessuno lo nega! Ma noi continuiamo a muoverci sul limite estremo, ci intrufoliamo in tali sacrari della natura che non può esserci nessuna garanzia per la nostra sicurezza…”. Il suo viso era simpatico, sincero, le parole, mute nel sogno, non risuonavano, ma penetravano in lei così, come il sole entra nella pelle, e insieme ad esse sorgevano la compassione ed una inspiegabile felicità. “E poi, quelle istruzioni… Sono due secoli che ripetiamo che l’umanità risponde per il singolo, ed il singolo per l’umanità. In questo senso non vi è differenza tra me ed il Consiglio scientifico. E allora perché non posso io stesso decidere il destino dell’esperimento? Da dove viene tanta diffidenza? Se fossi stato un artigiano analfabeta, non mi avrebbero rilasciato il diploma. Mentre così… Le ho mentito sul capo. Il capo ci nasconde, con molta cultura e talento, la sua aspirazione ad elevarsi come una cima irraggiungibile, il nostro coraggio lo spaventa, e in questo le istruzioni sono dalla sua parte…”. Mar’jana ascoltava sfogliando i petali e le sue parole giungevano confuse e scandite come il pulsare del sangue: “M’ama, non m’ama, m’ama, non m’ama…”.

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